La personalizzazione educativa
La pedagogia del fare
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La personalizzazione educativa, che fa riferimento ad alcuni assiomi e, nel particolare, all’aspetto dell’apprendimento basato sull’esperienza concreta. La personalizzazione rappresenta allora il tentativo di adattare l’educazione alle caratteristiche individuali, uniche e irripetibili delle persone, allo scopo di ottimizzare sia l’intervento “educante”, sia l’apprendimento di abilità generali (di ordine relazionale, affettivo, cognitivo, ecc.) da parte di ciascun individuo.
Ma l’esperienza educativa non è, certo, solo un esercizio di trasmissione o apprendimento di abilità più o meno complesse. È, innanzitutto, una pratica di condivisione.
Il vivere la comunità è esperienza di complementarietà tra le persone che la abitano, tra gli adulti (gli educatori) e i minorenni. La comunità è un luogo dove si esprime genitorialità simbolica che sta, seppure temporaneamente, al posto di quella vera. Una genitorialità adulta che si occupa, si preoccupa, che educa, che tutela… che coltiva in tutte le direzioni possibili. Una genitorialità che, in questo senso assume “responsabilità” nei confronti sia del minore in accoglienza che del contesto sociale con cui la comunità si relaziona. Una genitorialità che riconosce, abbiamo detto, l’unicità e la dignità di ogni persona, così come la sua co-responsabilità dentro un progetto di vita. Il progetto di comunità fa riferimento ad una costante attività con funzione di stimolo. L’équipe degli educatori guida il gruppo dei minori verso il raggiungimento degli obiettivi di ogni singolo progetto di accoglienza. L’accompagnamento quotidiano dei minori è affidato pertanto ad una presenza costante, orientata alla co-costruzione di percorsi di crescita del minore e della sua famiglia attraverso la pedagogia del fare, dell’espressione del proprio sé, delle attività di gruppo e di laboratorio.
Questa esperienza può permettere al minore un notevole rafforzamento dell’immagine del proprio sé, della formazione di una coscienza del proprio essere e dell’importanza della propria presenza nel mondo. I principi pedagogici adottati fanno riferimento all’approccio sistemico relazionale: alla base dell’interpretazione sistemica vi è un importante assioma che fa riferimento ai modelli di comunicazione, diversamente interpretati rispetto al semplice meccanismo input-output. Infatti, solo in presenza di un’interpretazione della relazione/comunicazione di tipo circolare avviene il meccanismo della promozione della responsabilità: se siamo in presenza di un sistema (la famiglia, la classe, la comunità, la squadra…), ciò significa in primo luogo che nessuno ne è escluso, nessuno ne è spettatore, nessuno può dire “io non c’entro”. Nella relazione circolare, ciascun elemento è insieme punto di partenza e punto di arrivo, ricevitore e trasmettitore; in ogni sistema, ciascuno ha un posto tale che — se non ci fosse — l’intero sistema sarebbe diverso, sarebbe un altro sistema. Tale approccio, inoltre, favorisce la presa in carico e la cura delle relazioni intrafamiliari, con uno scopo anche preventivo rispetto all’evolversi del disagio. Tale approccio, indispensabile per affrontare dinamiche complesse in un’ottica di “care” – invece che della “cure” di stampo prettamente sanitario – consente potenzialmente la nascita e crescita di vere e proprie reti sociali caratterizzate da fiducia, reciprocità e solidarietà, che alcuni autori definiscono come “capitale sociale”. Può favorire una maggior responsabilizzazione dei minori accolti ed un processo di empowerment degli stessi. Consente infine la sperimentazione di nuove e buone prassi utili a definire moderni sistemi di welfare articolati e coordinati.
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